Memorabili ricordi

Un invito a tutti noi: scriviamo usando la capacità del bel ricordo.....

Quanti bei racconti abbiamo sentito intorno a un tavolo con un aperitivo in mano o in un ristorante quando noi vecchi giocatori siamo assieme.  E’ un invito a riportarli in vita.
Potremmo dividerli in temi: AMICIZIA, DIVERTIMENTO, CELEBRAZIONI, MIGLIORAMENTI, INTUIZIONI, TRASFERTE e GIOCATE MEMORABILI……..
Ognuno di noi ha in mente momenti particolari che rimangono impressi nella mente come fotografie.
Maurizio Albertosi ha iniziato: tocca a voi continuare.

28 Luglio 1964 – Convocazione F.I.P.B.

Correva l’anno 1964 ed io non avevo ancora compiuto 17 anni. Era Luglio e mi sono visto recapitare dal postino una lettera del CONI sezione “Federazione Italiana Palla Base”. L’aprii e vidi che era indirizzata a me  e ad altri quattro giovani lanciatori che in quell’anno avevano disputato il campionato di serie C ed erano coloro che avevano ottenuto più strike aut nel campionato. Naturalmente detta lettera era indirizzata in copia anche alle rispettive Società degli atleti oltre, naturalmente, ai vari dirigenti del Baseball Compreso il grande Luigi Cameroni.
Leggendo ho capito che ero stato invitato ad un allenamento in Germania, dal 16 al 27 agosto 1964 con la nazionale di baseball. In quel momento incominciò a battermi forte il cuore, mi tremavano le mani e ne parlai subito con i miei genitori i quali erano entusiasti di questa convocazione. Il problema ero io, a quell’epoca ero molto timido e cominciai a pensare a quante cose c’erano da fare. Dovevo andare a Milano e trovarmi in albergo con tutti i “mostri” sacri del baseball, da Glorioso a Cameroni a Paschetto, Carminati e tutti gli altri, al solo pensiero mi tremavano anche le gambe. Contattai il mio allenatore che mi confermò di aver ricevuto la lettera in copia e che immediatamente mi spronò a partire. Io, che non mi ero mai mosso da Verona, il pensiero di andare a Milano mi spaventava. Ne ho parlato con gli amici più cari e uno di loro mi disse, “ti accompagniamo noi” Livio e Luciano. Luciano aveva una zia che viveva a Milano e dopo averla contattata mi ha detto che era disponibile ad ospitarci. Io avevo appuntamento in albergo con gli altri giocatori alle ore 9.00 del mattino e così avrei potuto riposarmi in casa della zia e all’indomani presentarmi al raduno. 
Tutto filò liscio fino a qualche momento prima di entrare in albergo perchè, dopo aver salutato e miei amici, dall’emozione vomitai la colazione. Non sapevo più cosa fare, se entrare o tornare indietro. Alla fine mi sono ricomposto e preso il coraggio a quattro mani sono entrato nella hall e mi sono ritrovato in mezzo a tutti i più grandi giocatori di baseball del momento. Dopo un primo timido sorriso, mi sono presentato ed ho cominciato un pò a sciogliermi.
L’esperienza è stata meravigliosa in quanto, oltre che allenarci, (si andava a giocare nelle basi americane di stanza in Germania) durante le partite, ero nel box della nazionale in mezzo a loro. Io pesavo all’incirca 50 kg e vedermi vicino a questi “colossi” mi intimidiva, ma mi piaceva. Cercavo di carpire qualche segreto dai lanciatori ed è stato proprio l’allenatore della nazionale (era americano ma non ricordo il nome) che vedendomi lanciare in allenamento mi corresse la posizione, in pratica, mi insegnò ad andare giù di spalla. I primi lanci che ho fatto finivano tutti un metro prima di casa base poi, piano piano, mi sono corretto e alla fine i lanci erano buoni e mi era aumentata anche la potenza, quella che poteva avere un ragazzino di 50 chili.
Eravamo ospiti nella base USA di Rhein/Main. Nella mensa c’erano dei contenitori di latte che tramite un rubinetto potevi berne quanto ne volevi. Era buonissimo, non ho mai più bevuto tanto latte in vita mia e senza conseguenze.
Tale esperienza mi è poi servita, come lanciatore, nella finale che giocammo a settembre a Bologna contro la Juventus di Torino per andare in serie B. Vincemmo e salimmo di categoria.
Quell’anno per me è indimenticabile perché dopo l’esperienza con la nazionale e dopo essere saliti in serie B, fui premiato dal sindaco di Verona, allora era Gozzi, con una medaglia come miglior giocatore di baseball. Era una giornata sportiva in cui si premiavano i migliori di ogni sport.
Qui chiudo e scusatemi se mi son dilungato troppo, ma volevo far capire quanto è stata bella ed emozionante questa esperienza.

Icio

 

Dario Feltrinelli -1

Desidero buttar giù quattro righe, per fissare nero su bianco quei ricordi, emozioni, momenti che hanno caratterizzato la mia gioventù, e non solo, di fanatico appassionato e perdutamente innamorato del baseball. Desidero condividere con gli unici e VERI amici della mia vita, questo turbine di pensieri che affollano la mia zucca quando penso a quegli anni pioneristici di un’epoca felice. Desidero buttarli giù alla rinfusa man mano che mi si presentano, a volte personalissimi, non per protagonismo credetemi, a volte legati a persone con cui ho vissuto la grande avventura della mia vita.

Come non ricordare l’emozione ed il cuore gonfio d’ orgoglio nel pedalare verso casa, con stretta in un fagotto la mia prima vera divisa n° 13, con costernazione di mia madre super superstiziosa…e i primi rudimenti di bb sul campo di via Passo Buole con gli amici Scoiattoli, …e Davide Saoncelli che si ferma in bici e ci regala una decina di vere autentiche palle da bb?

Le trasferte erano un’avventura, soprattutto per noi giovani scapestrati, ma sono certo che anche i più compassati di noi ne godevano, mi riferisco a Tony Donini cassiere e fiduciario della Libertas, Gianni De Martini sempre in giacca e cravatta, Alberto Mally sempre composto, Elio Orsolato sempre affamato e così via.

In una Italia piena di entusiasmo e fiducia nel futuro noi eravamo una squadra d’assalto. Le lunghissime trasferte in Littorina, le trasferte in 600 Multipla, i pranzi al Dopolavoro Ferrovieri, ove qualcuno aveva il coraggio di lamentarsi pesantemente per la cottura del riso come se fosse abituato alla cucina del 12 Apostoli, la sosta su di un viadotto dell’ Autostrada del Sole, appena inaugurata, ammirando a bocca aperta la spettacolarità dei piloni altissimi e lo snodarsi del nastro tra i monti, l’apparizione improvvisa di una stupefacente Fontana di Trevi, il dormire al ritorno, sulle retine portabagagli, rientrare alle 6 di lunedì per presentarsi poi a scuola od al lavoro. Chi non ricorda il potere taumaturgico della SIFCAMINA usata in quantità industriali su muscoli indolenziti, strappi e contusioni?

Ricordo le scorribande, vestiti di lenzuola a mo’ di toga romana, tra i corridoi dell’Hotel Dragoni in piazza Colonna a Roma, con relativo discorso alla plebe dal balcone. (ho scoperto poi che lo stesso hotel fu teatro di un tentativo di attentato a Mussolini).

Ricordo lo stupore di scoprirsi a fine campionato, leggendo i bollettini dell’allora Fipab, come miglior “ladro” di basi, od in altra occasione, come l’autore del maggior numero di singoli, ma quello che veramente contava era l’appartenenza al “gruppo” ove ognuno con la propria individualità contribuiva al risultato.

Il primo allenatore che ci ha iniziato al vero bb è stato Gary Brundage, ex giocatore di triplo A, 25 anni e 5 figli, sorriso aperto e simpatia da tutti i pori, interbase nella squadra Setaf di Verona. Ci ha insegnato che non potevamo rubare una base quando ci girava, ma dovevamo attendere il segnale (concetto sconosciuto), come scivolare in base, il concetto di ” squeeze play ” e via discorrendo. Mi ha regalato la prima conchiglia (oggetto misterioso) quando ha scoperto che giocavo ricevitore senza. Noi squadra si faceva cerchio, alla base del ponte del Rialto, per permettere alla moglie di cambiare l’ultimo della nidiata e poi, via a S. Elena a giocarci la partita in un campo di fieno.

Poi è arrivata l’era di Mr. Geno Evangelisto (voi pensate pe’ giocà, resto spicci io), e “spicci io” rimase per sempre il nomignolo segreto che usavamo tra di noi. Non era un grande conoscitore di bb, ma ottimo organizzatore e personaggio introdotto negli ambienti che contano, la sua morte è stata un disastro per il movimento, si è vissuti ancora per un poco sulle ali dell’entusiasmo di un gruppo solido, ma poi dall’alto si è decretata cinicamente la fine di un bel sogno.

Un abbraccio AMICI cari dal vostro

Dario Feltrinelli

 

 

Dario Feltrinelli – 2

Condensare una ridda di ricordi legati ad un felice periodo della propria vita non è facile: vengono a galla in modo disordinato, difficile metterli in riga. Musica, sensazioni, amici, episodi, luoghi, che baraonda!

I primi jeans Lee, Wrangler, Rifles. I primi rock ‘n roll, “Rock around the clock” di Bill Haley, “Jailhause rock” del grande Elvis, Little Richard, Jerry Lee Lewis, i Platters.

Era il nostro modo di rompere con il mondo dei “grandi”, con il mondo dei Claudio Villa e Vola colomba, il modo pacifico d’ intraprendere la nostra rivolta generazionale.

Era il tempo di Lucky Strike, Pall Mall, Camel che all’apertura del pacchetto emanavano un aroma soave di mondo proibito. Il profumo del cuoio del guantone da baseball, la sensazione impagabile del coccolare tra le dita una pallina da baseball “horse hide cover” con le sue cuciture rosse. Spalding, Wilson, Rawlings, Adirondack nomi mitici.
 Era il tempo degli spettacolini per studenti alle Stimmate, con Alberto Mally che al contrabbasso accompagnava la superba Norma mentre cantava ” Bi-Bop-A-Lula.

Era il tempo delle festine nel salotto di genitori sfiniti dalle pressanti richieste, del vassoio di pasticcini comperato previa colletta, alla Gabbia D’Oro in piazza Erbe. 

Era anche il tempo delle partite tra squadre di americani di stanza in Europa, che valevano per noi quanto incontri di Major League, delle lattine di coca-cola per noi una novità.

Macchinoni americani bicolori giravano mischiandosi alle poche 500, 600 e Giardinette. Militari americani, sprizzanti salute da tutti i pori, divisa kaki perfetta, si mischiavano ai nostri poveri fantaccini in cappotti grigioverde troppo larghi e con un’orribile bustina con visiera che gridava vendetta.

Bene per me, per noi, tutto questo si può condensare in una parola: BOSCHETTO

Il nostro caro, mitico, unico campo da baseball vero, con il suo custode-giardiniere Romano (poi diventato vigile urbano, da cui la mia teoria sul “capel con visiera” che spiegherò in altro contesto).

Boschetto sede d’ incontri con Calzeverdi, Longbridge, Maglierie Ragno, GBC, Europhon, Pirelli, Alpina e via via la storia del baseball italiano. Boschetto con il pubblico assiepato lungo le linee di faul come nelle vecchie foto americane. Boschetto del fuoricampo di Nino de Martini al mitico Glorioso. Boschetto di Bill Cotton magnifico catcher e magnifica moglie. Boschetto dei lanci di Alberto Mally, Eddy Rizzati, Claudio Gaglio e Beppe Ronconi. Boschetto dei fuoricampo dei nostri Olga Bolden e Ronald Talley. Boschetto dove infine ci potevi andare anche con la morosa. E dici poco?

Dario Feltrinelli

Giuseppe Pernigo

Guardando queste due foto, pubblicate sul sito de EL GUANTON dal nostro caro amico Alberto Zambelli, mi vengono alla memoria i tempi della nostra prima squadra di baseball – gli Scoiattoli – di via Passo Buole in Borgo Trento. Viene ritratta una parte della nostra vita, mia e del mio grande amico Dario, in cui con passione e gioia cominciavamo a giocare a questo nostro bellissimo Sport. Dario diverrà uno dei giocatori più richiesti giocando così in diverse squadre di serie A. Ma in questo mio ricordo non sono tanto gli aspetti tecnici a prevalere, quanto invece i sentimenti del cuore.
Era la nostra giovinezza in gioco, le prime emozioni vere, sia con le ragazze sia con il gioco di squadra che sempre più ci legava in modo speciale. Non avevamo divise ufficiali e cappellini veri, la mia era stata fatta con le lenzuola da mia madre ed i cappellini rossi con la “S” in fronte, fatti a mano dalla nostra amica Jolanda. D’altra parte i ricordi sono anche un modo d’incontrarsi, rimangono limpidi in noi e sono l’unico paradiso dal quale non possiamo venir cacciati. Non esiste infatti separazione definitiva fino a quando c’è il ricordo. Spesso nella nostra vita non succede niente, i giorni passano in fretta senza lasciare traccia, ma il passato, o qualcosa del passato lo vorremmo anche nel presente ma purtroppo non c’è più. Il ricordo è poesia e penso che i ricordi siano le cose migliori della nostra vita.

Giuseppe Pernigo

Rimini Riccardo - 1

Nessuno ha mai saputo del mio handicap. Solo a fine carriera il rag. Crippa, mio ex dirigente della squadra Pirelli, ne è venuto a conoscenza. Mi ha chiesto meravigliato : << Come hai fatto a fare il lanciatore ? >>.
Non ho avuto mai problemi, tranne nel controllo del corridore in prima base. Per risolverlo, ho dovuto inventarmi un sistema. Normalmente un lanciatore destro, controlla il corridore in prima base con la coda dell’occhio sinistro.
Io non potendolo fare, ho trovato una alternativa.
Nella posizione fissa, alzavo la gamba sinistra verso la terza base e poi con una rotazione continua finivo con un passo verso la prima base.
Il  corridore, pensando che dovessi lanciare a casa base, tentava la rubata e così si trovava “intrappolato ” tra la prima e la seconda base. E ne sono cascati parecchi, sia in Serie A-B e C !
Gli avversari chiamavano BALK (irregolare), ma tutti gli arbitri hanno sempre dichiarato regolare il movimento.
Concludendo, penso che nel mondo  del baseball, il mio sia un vero e proprio record: “unico pitcher con la vista da un solo occhio“.
Riccardo Rimini

Rimini Riccardo - 2

Nel 1957 all’Arena di Milano è stata giocata, in Italia, la prima partita di Baseball in notturna tra una squadra di militari americani e una rappresentativa di giocatori delle squadre milanesi.

Ho lanciato tutta la partita.

L’Arena aveva una illuminazione per il calcio e altri sport, ma insufficiente per il gioco del baseball.

Sulle battute alte la pallina scompariva nel buio e questo costituiva grande difficoltà nelle prese al volo per gli esterni .

L’Arena si trova al centro del parco Sempione ricco di prati e alberi.

Per tutta la partita siamo stati assaliti da nuvole di zanzare attirate dal bianco delle divise e dal sudore dei giocatori. E’ stato un vero tormento!

Il nostro dirigente, rag. Crippa, aveva portato del DDT in polvere, ma i giocatori che se lo erano messo sul viso, hanno poi avute le sopracciglia bruciate.

Non ricordo il risultato della partita .

Rimini Riccardo - 3

SQUALIFICA !

Nel campionato di Serie A del 1957, a Genova , ho preso la mia prima ed unica squalifica.

Ho sempre rispettato gli avversari, ma in quella partita sono stato provocato .

Il giocatore venezuelano del Genova, arrivando a casa base, ha fatto una scivolata.

Io avevo coperto la base, ma la palla è arrivata in ritardo ed allora non l’ho toccato . 

Lui, di proposito, con un calcione mi ha piantato gli spikes nel petto.

Per reazione l’ho afferrato per la caviglia e trascinato, con il sedere per terra, per un bel tratto del campo.

Quando l’ho lasciato, era furioso e ha tentato di aggredirmi, ma nel frattempo sono accorsi i miei compagni a fare barriera.

L’arbitro ci ha espulsi entrambi e fu così che venni squalificato!

Rimini Riccardo - 4

4°Campionato Europeo di Baseball
Mannheim ( Germania )   7-13 luglio 1957
 
Per un atleta la Nazionale è un sogno.
La convocazione, il ritiro e l’incontro con i compagni e avversari  di tante partite, gli allenamenti e infine la selezione.
Poi la partenza per la sede del campionato.
Indimenticabile il “brivido” alla esecuzione dell’Inno  Nazionale, con le squadre schierate prima dell’inizio della partita.
 
Contro l’Olanda, Lachi indisposto viene rilevato da Malerba che a sua volta è sostituito da me al 7°inning.
La partita finisce 3 a 1 per l’Olanda.
L’Italia si classifica terza dopo l’Olanda e la Germania dell’Ovest.

Dario Feltrinelli - 3

Eravamo in quattro (proprio come i moschettieri) Fabio es, Dario ec, Nino ed e Gianni grande shortstop e battitore ( chi non ricorda un suo favoloso doppio al re dei lanciatori Giulio Glorioso ? ). Eravamo un po’ i burloni della squadra, si organizzavano scherzi spesso feroci, ai nostri compagni più “posati” ( vi ricordate la ciunga sotto la bistecca di Mario G. al Dopolavoro Ferrovieri di Trieste ? ), si era noi a scorazzare per i corridoi degli hotel paludati da antichi romani con buona pace degli altri ospiti.
A proposito di Gianni Anastasi mi rammento un episodio a testimonianza della grande amicizia che ci lega. Si era seduti davanti ad un risotto alla pilota da Mafaldo, la trattoria sotto la sede della Libertas dove ci si riuniva e, Gianni, mi confida che era stato contattato dalla GBC Inter di Giancarlo Mangini, perchè si trasferisse a Milano. Feci appello a tutto quello che mi veniva in mente, ma cosa più importante misi in tavola l’ amicizia. Come andò a finire…..?
Si continuò a giocare assieme. Grazie Gianni e…buon compleanno !
Giorgio Danzi
Nel 1954, al grest del “Domo”, la domenica pomeriggio, rigorosamente in 16 mm noleggiati dalla Edizione Paoline, venivano proiettati film per “tutti”. Uno di questi fu “Il ritorno del campione” con James Stewart e June Allyson girato nel 1949 e trattava la storia di un campione di lanci che, dopo aver perso una gamba, con dura volontà e con l’arto ortopedico, ritornava sul monte ai livelli di prima.
L’entusiasmo fu tale che formammo una squadretta di 13/15enni composta, oltre che dal sottoscritto, dai fratelli Mario e Claudio Gallio, Gianni Contato, Fabio Ambrosi ed altri. Se ben ricordo il nome era “Red Devils”.
Eravamo fieri di essere dello stesso quartiere degli storici giocatori pionieri della Bentegodi e della Libertas Franco Franchini, Loris Benato, Pierluigi Febe, Giuseppe Magagna, Sergio Valente, Gianni Vidali, ma, soprattutto, dell’italo-americano Quintiglio Casciani che guidava la squadra della Bentegodi, dopo l’uscita di Swaczy e che ci omaggiò di un guanto da prima base bucato per l’usura.
Contemporaneamente si era costituita la squadra del Valdonega con i fratelli Gianni e Antonio De Martini, Donini, i fratelli Elio e Mario Orsolato, Grigoletti ed altri.
Fino al 1959 ho giocato partitelle con il Valdonega ed altre squadre che via via si formavano. Solo nel 1959 e 1960 mi sono tesserato ed ho giocato in campionato con i Bassotti (vedi foto).

in alto a sx: Paolo Bigarello, Marco Mamone, …………….,Giorgio Danzi, Umberto Panarotto (Moro)

In basso a sx: Marco Lampronti, Del Greco, Enzo Passeroni, Gianni Anastasi

In quel periodo ero assorbito anche nell’attività natatoria a livello agonistico con la “Rari Nantes Bentegodi” e, a dir il vero, con modesti risultati. Il migliore, una medaglia di bronzo ad una Coppa Scarioni a Padova (200 metri rana).
Nel 1960, in qualità di “esperto”, sono entrato nel gruppo dei neofiti che si esercitavano nel campetto fra Via Nervesa e Via Passo Buole. Tanti di questi giocatori si sarebbero inseriti, negli anni a venire, nelle migliori squadre della nostra città. Fra questi Giorgio Brunello, Mario Dell’acqua, Giuseppe Pernigo, Dario Feltrinelli, Giuseppe Pellini, Federico Penso, Paolo Righetti, Eddy Rizzardi, Domenico Tommasi ed altri.
Proprio in quell’ambiente ho conosciuto mia moglie, che era molto meglio del Baseball,  e, per qualche anno, mi sono perso.
Nel 1969, una quindicina di diciottenni, fra cui mio cugino Aldo Miotto, mi hanno chiesto di costituire una squadra e far loro da allenatore. Un  solo campionato, ma molto intenso e non privo di successi. I giocatori: Alberto e Riccardo  Cavagna, Maurizio Spranzi, Aldo Miotto, Mauro Albertosi, Riccardo Graffigna, Loris Zoppi, Alberto e Diego Papa, Carlo Baiano, Raffaele Breoni. Sergio Tosi, Riccardo Rodegher, Gianni Grinati e Andrea D’Amato (vedi foto e articoli).
In quell’anno era nata anche mia figlia; avevo intrapreso l’attività del volo; tenevo, come si suol dire, famiglia e ho dovuto scegliere. Ho scelto il volo.
Dopo 40 anni, in occasione dei Campionati mondiali del 2009, giocati parzialmente a Verona, ho rivisto tanti amici e non ho potuto deluderli. Mi sono associato al Guanton.
Il resto è storia recente.
Oggi, 18 marzo, è stata proclamata la Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid 19, una giornata dedicata al dolore e alla tristezza e, per noi, anche giornata della rabbia perché a causa della pandemia, il 30 dicembre, siamo rimasti orfani del “Beppe” Pernigo, co-fondatore della nostra Associazione e, da allora, ininterrottamente suo Presidente.
Prima dirigente di banca, poi Direttore della Fondazione Giorgio Zanotto e infine Docente presso l’Università di Verona è stato l’anima della nostra organizzazione.
Ideatore e animatore di numerose iniziative, per una delle quali ha ricevuto un personale compiacimento scritto da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Il 22 gennaio gli amici mi anno designato a succedergli e di questo sono onorato e li ringrazio sentitamente.
Farò quanto nelle mie possibilità per continuare nella sua opera in un’ideale continuazione di una amicizia nata nel 1958.
Riccardo Rimini – 5
Mi chiamo Riccardo Rimini e sono nato il 4 Agosto 1934 a Verona. Fino al 1946 ho abitato a San Rocco.
Sono l’ultimo sopravvissuto alla tragedia dello scoppio del Forte Castelletto del 13 Settembre 1943. La domenica del 12 si era sparsa la voce che il forte era stato abbandonato dai soldati e che la gente lo stava saccheggiando .Per la piazza c’era un andirivieni di carretti carichi di vario materiale proveniente dal forte, tra cui casse di legno e di zinco e tela di sacchi di lino bianco .
Io e gli amici, Flavio Bicego e Franco Brunelli, siamo partiti di corsa per vedere da vicino come era fatto un forte.Sul piazzale c’era parecchia gente e polvere da sparo sparsa ovunque per terra.
Erano quadratini contenuti in un sacco di lino bianco dentro un contenitore di zinco, questo a sua volta era in una cassa di legno di circa un metro di altezza.
La gente, dopo aver aperto il tutto, rovesciava la polvere per terra per prendere il resto del materiale. Noi abbiamo raccolto un po’ di quadratini di polvere da sparo e poi siamo ritornati a casa.
Lunedì 13 al mattino continuava l’andirivieni di carretti.
Io e Franco abbiamo deciso di ritornare sul forte per entrare e vedere se c’era qualche cosa con cui giocar.
Il giorno prima era arrivato a San Rocco Mario Mariott , un ragazzino che con la sua famiglia era sfollato da Verona per paura dei bombardamenti. Era della nostra età e quando ha sentito che andavamo sul forte, si è unito a noi .
Siamo partiti senza avvisare i nostri genitori .
Lungo la strada abbiamo incontrato i fratelli Peroni di ritorno dal forte con il carretto carico di materiale vario.
Hanno cercato di convincerci a non proseguire dicendo che era pericoloso perché sul forte c’erano i tedeschi che sparavano .
Volevano spaventarci .
Mario, il ragazzino che si era unito a noi, ha deciso di ritornare a casa mentre io e Franco, pensando che non era vero, abbiamo proseguito.
Arrivati sul piazzale abbiamo visto parecchia gente e la polvere da sparo ormai formava una montagnetta sul bordo dello spiazzo.
Di corsa abbiamo attraversato il ponte sul fossato e siamo entrati nel forte .
Appena dentro io ho girato a sinistra per un corridoio con una serie di stanzette senza porta ma con una finestrella che dava sul piazzale .
Al loro interno, lungo le pareti, erano impilate bombe fino al soffitto .
Franco intanto era sparito, così io sono ritornato all’entrata .
Lì c’era pure una scala che portava al piano superiore; i gradini erano ricoperti dalla polvere da sparo.
Sono salito ” a gattoni “, perché si scivolava . Sopra si apriva un gran salone tutto vuoto.
C’erano solo due uomini in fondo che litigavano per il possesso dell’ultima cassa di polvere.
Vista la situazione, sono sceso scivolando sui gradini ricoperti di polvere da sparo e sono uscito. Franco non l’ho più visto .
Passando sul ponte ho incontrato Benigno Bicego, il Podestà del Comune di Roverè e padre del mio amico Flavio. Incitava la gente ad andare via perché la situazione era estremamente pericolosa.
Era mezzogiorno, mezzogiorno e qualcosa . Picchiava un forte sole e la gente, a quei tempi, aveva ai piedi scarponi o “sgalmare” con le “brocche” (chiodi di ferro fissi ai bordi delle suole di legno) . Sarebbe bastata una scintilla per accendere la polvere da sparo e provocare il disastro .
Alle spalle del Podestà c’era Mario, il nostro compagno che al mattino era tornato a casa ma che poi ci aveva ripensato ed era ritornato al forte . Mi ha detto che entrava per vedere se trovava qualche cosa e che poi ci saremmo ritrovati all’esterno.
Sul piazzale ho trovato mio cugino, Rino Brunelli, che mi cercava perché la mia mamma, Idelma Brunelli , avendo saputo che ero sul forte era molto preoccupata .

Aveva una cassa di legno vuota e mi ha invitato a prendere un po’ di polvere da sparo che sarebbe servita a fare le cartucce per cacciare . Poi mi ha detto di andare ad aspettarlo oltre il fossato verso San Rocco . Là c’era Franco seduto vicino a del materiale raccolto da suo cugino, Ilario Brunelli, che era andato in paese a prendere il carretto per il trasporto.

Franco era seduto a una decina di metri dall’angolo del fossato. All’interno c’erano due ragazze che giocavano . Sulla nostra sinistra partiva la stradina che scendeva verso San Rocco .
Un contadino stava tagliando degli alberelli alla nostra sinistra .
Ho fatto appena in tempo a sedermi, quando lo vediamo mollare tutto e scappare in discesa .

Gli abbiamo gridato : <<Perchè scapito ? >> . E lui ha risposto :<<Guardè de drio ! >> . Ci siamo voltati: dal piazzale si alzavano fiamme altissime .
Abbiamo incominciato a correre, in discesa, verso San Rocco e subito il forte è scoppiato . Prima il contadino e poi anch’io siamo stati spinti a terra dallo spostamento d’aria .

Franco era sparito .
Si sentivano fischi in aria e tonfi in terra .
Davanti a me c’erano dei cespugli . Ho pensato di andare a ripararmi ma prima che mi muovessi ho sentito un forte fischio ed è arrivato un macigno proprio dove volevo andare .
Così sono rimasto accovacciato con la testa chiusa tra le braccia .
Dopo qualche minuto tutto è diventato buio e silenzioso .
Avevo nove anni e ho pensato di essere morto .
Poi è cominciata una pioggia di terra !
Il cielo si è schiarito .
Si sentivano voci e lamenti dei feriti .
Il terreno intorno era cosparso di sassi piccoli e grandi .
Dalla mia destra è arrivato Franco e, camminando lungo la stradina abbiamo incontrato il campanaro di San Rocco e un ragazzo con una brutta ferita ad un braccio .
Sulla salita delle Mire ho visto la mia mamma che veniva avanti con Ilario .
Le sono corso incontro gridando :<<Mamma, mamma non mi sono fatto niente !>>.
Avevo paura che mi sgridasse .
Lei si è inginocchiata in mezzo alla strada a ringraziare Dio perché ero vivo .
Io e Franco avevamo tutta la schiena rossa di sangue, non sentivamo male ma eravamo stati colpiti da tanti sassolini.
Ci hanno accompagnati alla contrada Specula, dove in cucina ci hanno lavato .
Poco dopo sono arrivati altri feriti e una donna giovane che urlava : <<Mia sorella è morta, mia sorella è morta ! >>.
Sembrava impazzita .
La sorella era stata colpita da un macigno mentre stavano passando sulla provinciale sotto il forte . Siamo tornati a casa .
La mamma con altre persone è ritornata al forte per cercare mio cugino Rino e per soccorrere i feriti.
Verso sera è arrivato in piazza un camion con Claudio, un nostro compagno gravemente ferito . Lo portavano all’ospedale di Tregnago .
Il forte ha continuato a bruciare per tutta la notte con fiamme altissime .
Si diceva che fosse scoppiata la parte anteriore e che se fosse scoppiata anche la posteriore, il paese sarebbe stato gravemente danneggiato .
Così, per paura, in tanti abbiamo passato la notte nell’orto del prete, luogo all’aperto, ritenuto sicuro.
Ricordo lo strazio della mamma di Mario, il ragazzino di Verona che al mattino era ritornato a San Rocco e che pochi minuti prima dello scoppio avevo incontrato sul ponte mentre entrava nel forte . Per parecchi giorni si sedeva sul gradino d’entrata di casa mia e quando passavo mi chiedeva se avevo visto dov’era andato .

Io non avevo il coraggio di dirle che era entrato nel forte e le dicevo che non sapevo dove fosse andato .
Purtroppo, le tre persone che conoscevo: mio cugino Rino, il podestà Benigno Bicego e il compagno Mario, che avevo incontrato pochi minuti prima dello scoppio, non sono più state trovate.

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