Com'è nato il
Baseball a Verona
Un altro anno di scuola era finito, quello che allora per noi si chiamava Ginnasio. Tre mesi di vacanze, poi il primo anno di Liceo. Dovevamo inventarci qualcosa, approfittare di quei mesi. Mica potevamo solo andare al Lago tutti i giorni, o al Boschetto, o andare a morose la sera. Rinaldo abitava in via Pigna, io in via Duomo. Le vie formavano un incrocio, un cardo e un decumano. Era la vecchia città romana, e su questo incrocio si affacciavano o quasi le nostre case. Lui aveva sempre avuto la fisima di tenersi in forma e in quel periodo, senza dir niente, aveva ripreso a fare un po’ di boxing. Scendeva le scale, girava a sinistra e dopo un isolato entrava nel magazzino dove il padre e i fratelli, avviati commercianti, tenevano in deposito cataste di pelli conciate e sacchi di lana. Dall’alto, appeso a una trave, pendeva un sacco di lana greggia particolarmente compressa e appesantito con qualche mattone sistemato proprio nel mezzo. Gli serviva per allenarsi, e far muscoli. Ma il sacco era inerte, statico, non reagiva. Gli serviva anche un “bersaglio mobile”, uno che reagisse, che lo impegnasse in difesa. Fu allora che si decise a parlarmene.
“Sei un po’ magro, fammi sentire i muscoli”. Mi tirai su la manica, gli
Dario 48
Gianni Anastasi
Albertosi