Com'è nato il Baseball a Verona
Un altro anno di scuola era nato, quello che allora per noi si chiamava Ginnasio. Tre mesi di vacanze, poi il primo anno di Liceo. Dovevamo inventarci qualcosa, approfittare di quei mesi. Mica potevamo solo andare al Lago tutti i giorni, o al Boschetto, o andare a morose la sera. Rinaldo abitava in via Pigna, io in via Duomo. Le vie formavano un incrocio, un cardo e un decumano. Era la vecchia città romana, e su questo incrocio si affacciavano o quasi le nostre case. Lui aveva sempre avuto la fisima di tenersi in forma e in quel periodo, senza dir niente, aveva ripreso a fare un po’ di boxing. Scendeva le scale, girava a sinistra e dopo un isolato entrava nel magazzino dove il padre e i fratelli, avviati commercianti, tenevano in deposito cataste di pelli conciate e sacchi di lana. Dall’alto, appeso a una trave, pendeva un sacco di lana greggia particolarmente compressa e appesantito con qualche mattone sistemato proprio nel mezzo. Gli serviva per allenarsi, e far muscoli. Ma il sacco era inerte, statico, non reagiva. Gli serviva anche un “bersaglio mobile”, uno che reagisse, che lo impegnasse in difesa. Fu allora che si decise a parlarmene. “Sei un po’ magro, fammi sentire i muscoli”. Mi tirai su la manica, gli feci sentire il muscolo.“E’ debole. Devi rinforzarli”.“Perché?”“Così, non si sa mai. Potrebbe servire. Perché non fai un po’ di pugilato?”“Pugilato? Sei matto? E dove, e con chi?”
“Con me. In magazzino. Ho due paia di guanti, puoi usarne uno.”“Sì, ma, ti rendi conto che potrei farti un occhio nero?“Oppure io a te.”“E ti sembra giusto? Due amici che si prendono a pugni? Perché io in fondo la vedo così, non so se mi spiego.”“Macché, con i guantoni non si sente male, e poi facciamo in modo di andarci leggeri, quello che importa è sciogliere i muscoli, rinforzare le gambe, eccetera.”
La curiosità ebbe la meglio. Il giorno dopo uscii di casa, attraversai la strada, voltai per via Pigna e gli suonai il campanello. “Ti aspetto”, dissi. Dopo un minuto Rinaldo era in strada. Aveva due paia di guanti legati e buttati sulle spalle, un asciugamano e un paio di scarpe da tennis. Ancora una decina di passi ed eravamo nel magazzino. Fui avvolto dall’odore sgradevole di lana grassa e di pelli di vacca. Il primo contatto non fu incoraggiante.
Mi insegnò come dovevo mettermi. Gamba sinistra avanti, destra più arretrata, braccio sinistro teso, braccio destro piegato, guanto destro a protezione della faccia, testa bassa, movimenti elastici, saltellare, saltellare, elasticità, hop, hop,… poi mi arrivò un mezzo diretto, uno ‘leggero’, come aveva detto lui, ma bastò per farmi capire che quello ‘sport’ doveva essere veramente amato per essere praticato. Bisognava amare i pugni in faccia, insomma, per poterli incassare, perché quelle erano botte, e non saprei come chiamarle altrimenti.
Ora dirò che da tempo rimuginavo un sogno. Era sempre un’attività sportiva ma non c’erano sacchi da prendere a pugni, né avversari da cui proteggersi, si giocava all’aperto, outdoor (ma c’era anche una variante indoor), si prestava perfettamente all’idea di sviluppare il corpo e di impiegare il tempo delle vacanze in qualcosa di più piacevole del pugilato. Era uno sport, uno sport civile che per me aveva anche un carattere esotico. Era il baseball. Il sogno era quello di formare una squadra, meglio se due, ma il sogno si era fermato lì, non poteva, allora, permettersi di andare oltre e considerare i diversi aspetti che l’idea avrebbe comportato. Mi dovevo accontentare di guardare e riguardare certe foto su ‘Esquire’ o sul ‘Saturday Evening Post’ che trovavo all’edicola di fronte al Liceo, e che la proprietaria, che conoscevo, mi lasciava scorrere. Mi rimasero nella memoria i nomi e le gesta di Stan Musial, di Yogi Berra, e le citazioni di Babe Ruth e Joe Di Maggio, ormai scomparsi ma sempre termini di confronto, oltre a numerosi altri ‘sluggers’. Ma ancora di più fui toccato dal senso ‘estetico’ di quello sport, che gli scatti fotografici riprendevano: a volte il volo di un giocatore, altre una scivolata in base in un nugolo di polvere, e altre ancora una presa a volo ‘imprendibile’ a fondo campo, tutte azioni risicate sulla frazione di secondo, una delle caratteristiche del baseball.
Una mattina, dopo uno di quegli ‘allenamenti’ pugilistici di cui tutti e due cominciavamo ad essere stufi , mi sedetti su un sacco di lana greggia, mi tolsi i guanti e mi asciugai il sudore.
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